Storia del Mais Marano

Le origini

Negli anni si sono selezionati varietà di mais locali coltivate per lungo tempo in un determinato posto. Questi “tipi locali” risultarono essere interamente adattati alle condizioni ambientali della zona deve venivano o vengono coltivati in quanto sono il risultato di una lunga esperienza colturale e di scelta anteriore più o meno inconscia, oppure di fortuite mescolanze o di incroci voluti.   (fonte: Il granoturco, T.V. Zapparoli)

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E’ il caso ad esempio della tipica polenta bergamasca, di quella di Storo del trentino, della polenta bianca del padovano e trevigiano, o della polenta di “Marano o maranélo” diffusa nel vicentino.

In particolare nella nostra provincia e più precisamente a Marano Vicentino, un paese a circa 18 km a Nord di Vicenza, è stata selezionata una delle più importanti varietà di mais: il Marano. Tale varietà infatti, è stata largamente coltivata fino all’introduzione, nel dopoguerra, dei moderni ibridi di mais provenienti dagli USA.19

Nel 1924 il Marano era , però, ancora pressoché sconosciuto fra gli esperti. Ma negli anni successivi la sua fama andò progressivamente divulgandosi. Nel 1939 apparve su di esso uno studio su una rivista, “L’Italia agricola” di Roma, del professore Tito Vezio Zapparoli, che ne definì le caratteristiche e il valore. Riportiamo di seguito i passaggi più importanti.

Verso il 1890 a Marano Vicentino l’agricoltore Antonio Fioretti eseguì l’incrocio del Nostrano locale (granoturco precoce, basso, a mediocre capacità produttiva, a pannocchia conica, corta, non molto colorita e con bassa resa in granella, insomma: un cinquantino da primo raccolto) con il Pignoletto d’oro proveniente da Rettorgole di Caldogno nella zona tipica di questa varietà, granoturco più alto, più tardivo, molto più colorito del precedente, anzi quasi rosso, vitreo. Incrociante (impollinante) il Nostrano.

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Il prodotto dell’incrocio venne l’anno successivo seminato nel podere Fioretti e così si fece in tutte le seguenti annate, senza più procedere ad incroci.[…] Siccome il prodotto dell’incrocio si era subito dimostrato di qualità indubbiamente molto superiore a quella del Nostrano, ma non aveva che di poco aumentata la produttività, piuttosto bassa, di ambedue i granoturchi uniti nell’incrocio, il Fioretti iniziò fin dal primo anno, e scrupolosamente continuò poi tutti gli anni, una sistematica selezione di massa, allo scopo principale di fissare, possibilmente, i caratteri e la qualità del prodotto e di accrescerne la fertilità e la produttività. […] Il Fioretti riuscì così ad ottenere pressoché costante la proprietà di produrre almeno due spighe complete per pianta, mentre nel vecchio Nostrano locale, base dell’incrocio col Pignoletto, le piante con due pannocchie rappresentavano una minima percentuale. In molti casi non sono infrequenti le piante con tre-quattro e più pannocchie.

La selezione continua, durata oltre vent’anni, ha quindi di mano in mano apportato un miglioramento nella fertilità senza diminuire la commerciabilità e le ottime qualità molitorie ed organolettiche portate dal Pignoletto.[…]

Curato e concimato a dovere il Marano può oltrepassare con relativa facilità i 60-65 quintali per ettaro, come si è potuto constatare in numerosi controlli. Nelle provincie di Vicenza, Padova e Bergamo si ha notizia di “punte” superanti gli 80 quintali ad ettaro su parecchi ettari.

La precoce maturazione (prima decade di settembre) e la sottigliezza del tutolo riducono molto la percentuale di scarto e facilitano la conservabilità e la stagionatura delle pannocchie in magazzino.

Le pannocchie di Marano, all’origine ed in annate normali, sono piccole, allungate, poco ingrossate alla base,quasi cilindriche.”

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Sempre lo Zapparoli usava definire il Marano un “granoturco prezioso dai risultati sorprendenti” e lo raccomandava con piena convinzione a tutti gli agricoltori.

 

La selezione

Com’è stato ricordato con le parole del prof. Zapparoli, il Cav. Antonio Fioretti nel 1890 iniziò e per molti anni continuò la scrupolosa selezione sul campo di un mais con piante quasi completamente fornite di due spighe e quindi più produttivo delle normali varietà, pure aumentando nella precocità e nella qualità. Si può però essere certi che dato il piccolo podere in cui operava Fioretti, si sono avute in seguito nuove infiltrazioni di polline nostrano visto che veniva coltivato tutto intorno.
La selezione veniva fatta a maturazione completa del prodotto, poco prima della raccolta, in un appezzamento situato al centro del podere, dove, presumibilmente dovevano verificarsi minori possibilità d’inquinamento per vicinismo.

Si sceglievano le piante più robuste, più precoci, di altezza leggermente inferiore alla media e portanti almeno due pannocchie, il loro prodotto, dopo una seconda scelta invernale sulla granella, veniva usato l’anno successivo come seme.

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Fioretti riuscì a ottenere pressoché costante la proprietà di produrre almeno due spighe complete per pianta, mentre nel vecchio Nostrano locale le piante con due pannocchie rappresentavano una minima percentuale.

Una curiosità: fu il mais “Molina”, ottenuto con incrocio di mais Marano, che arrivò ad avere otto – dieci pannocchie, però molto piccole.

Il Marano risultò più precoce del Pignoletto, maturando sensibilmente prima anche se seminato con molto ritardo.

Con questa prolungata metodica selezione si arrivò alla fissazione e stabilizzazione di quelle pregevoli caratteristiche che hanno reso il Marano ricercato e preferito dagli agricoltori.
Dopo la morte del Cav. Antonio Fioretti, il Marano fu curato dai figli fino al 1934, quando intervenne la Stazione sperimentale di maiscultura di Lonigo a dirigerne, in collaborazione con l’Ispettorato Provinciale dell’agricoltura di Vicenza, la selezione di massa e a disciplinarne la produzione controllata in una zona tipica. I più anziani ricordano che in tutta la porzione Nord-Est del territorio di Marano, gravitante attorno alla casa Fioretti, era obbligatorio seminare soltanto granturco Marano per evitare l’impollinazione e l’ibridazione da altre varietà. Casa Fioretti era al centro della scelta del seme, fatta anche attraverso l’eliminazione delle parti estreme, la base e la punta, delle spighe o delle pannocchie. La parte commerciale venne affidata al Consorzio Agrario Cooperativo di Vicenza.

Nel 1940 (produzione del 1939) il Marano ottenne il “marchio” governativo. (Bressan)

Dal dopoguerra ad oggi

Nel secondo dopoguerra la sua coltura cominciò a declinare a causa di varie ragioni. La principale fu la scoperta e la diffusione della tecnica di ibridazione con conseguente enorme aumento delle possibilità produttive di tali mais ibridi. Con i mais ibridi le produzioni sono enormemente aumentate ed hanno portato un conseguente maggior tornaconto economico per gli agricoltori. Inoltre, anche se fatta meccanicamente, seppure con qualche difficoltà, la raccolta del Marano risulta più laboriosa rispetto ai mais ibridi.

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Bisogna considerare che il consumo del mais per uso alimentare umano è la millesima parte di quello di uso zootecnico. Inoltre la percentuale di mais destinato alla produzione di polenta si è ridotta notevolmente, poiché si è ridotto il consumo di polenta, già cibo di base della nostra gente.

Oggi è pressoché cessata la pratica di dare al proprio mugnaio il proprio mais. Le aziende agricole hanno dovuto abbandonare l’indirizzo della produzione per l’autoconsumo per trasformarsi, se hanno voluto sopravvivere, in imprese di tipo industriale.

Per tutti questi motivi la cultura del Marano è stata rapidamente abbandonata, e se non ci fossero stati dei fedeli appassionati, convinti della sua bontà, se ne sarebbe potuto perdere anche il seme, che però, a causa della vicinanza di appezzamenti di varietà diverse, è stato molto ibridato.

Anche se in disuso come varietà il pool genetico derivante dal Marano è stato largamente utilizzato per la creazione di ibridi di mais con caratteristiche agronomiche e qualitative simili al Marano, come ad esempio l’Italo 225 negli anni ’60 (ibrido a quattro vie costituito interamente da linee derivate daMarano) o altri ibridi commercializzati tuttora come l’”Astico”.

La coltivazione del Marano è oggi concentrata quasi esclusivamente nella zona della Val Leogra e resiste grazie alla passione di alcuni agricoltori e trasformatori della zona, che commercializzano una farina con elevate caratteristiche qualitative e da cui si ottiene la “polenta di maranélo” molto utilizzata in passato nella zona del vicentino.

A prova di ciò in Itinerari Gatronomici Vicentini a cura di Eugenio Candiago alla voce polenta troviamo:

Intriso di granturco fatto cuocere nel paiolo. Pregiatissimo è il granturco della campagna di Marano Vicentino..

e ancora alla voce Marano Vicentino:

Paese a nord est di Vicenza dove si coltiva il granoturco da cui si ricava un’ottima farina [..] la polenta confezionata con questa farina è squisitissima…

Una decina di anni fa, grazie all’opera di chi gli era rimasto fedele, a una campagna promossa dai Ristoratori Scledensi e a un riscoperto interesse da parte dell’Istituto di maiscultura di Lonigo, il Marano ha cominciato a rinascere.

 

Sórgo (etimologia)

Tutti sanno che il mais è stato, assieme alle patate, per la storia dell’alimentazione della nostra gente, uno dei frutti più importanti legati alla scoperta dell’America, avvenuta, com’è noto, nel 1492. Nella vita di C. Colombo narrata dal figlio e relativa ai paesi visitati dal genovese, si parla dell’esistenza, di una sorta di grano detto “Mahiz” molto saporito se cotto in forno o ridotto in farina. A differenza delle patate – altro regalo proveniente dall’America – verso le quali si è nutrita a lungo una profonda diffidenza, per cui esse hanno cominciato ad essere coltivate solo fra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800, soprattutto in conseguenza di una tremenda carestia, il mais si è diffuso nella nostra terra già tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 diventando, e restando fino a qualche decennio fa, il prodotto forse più importante per l’alimentazione dei nostri progenitori. Il Veneto è stato la prima regione maidicola Italiana.

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Il granoturco o mais, nome volgare della Zea Mays, era un tempo chiamato comunemente sórgo, un termine scientificamente improprio, ma nel quale si riflette una lunga storia che merita di essere ricordata.

Sórgo in italiano e anche scientificamente, è il nome di alcune piante diverse dal mais. Sórgo è il nome proprio delle scóe, già coltivate per fare le scope, sórgo è il nome della sórghèla o sacrestèle, recentemente diffusasi in misura enorme e diventante una delle erbe più infestanti, e sórgo era, soprattutto, la saggina (Sorgum vulgare) chiamato poi, per distinguerlo dal granoturco, sórgo rosso. Prima della diffusione del mais era soprattutto con i semi della saggina, o sórgo rosso, che si faceva la polenta. Altro cereale utilizzato per la polenta era il formantón, cioè il grano saraceno, giunto peraltro da noi non molti secoli prima del mais, con il quale si otteneva una polenta nera e soprattutto il macafame. Il grano saraceno, ancora coltivato e adoperato in molte zone (nel Carso, in Valtellina dove si fanno i pizzoccheri..), è stato abbandonato del tutto nelle valli del vicentino poco più di venticinque anni fa. Ma torniamo alla meliga o sórgo rosso, con i cui semi, uguali a quelli delle scoe, ma più densi,si faceva la polenta. Confrontando la struttura delle scoe osserviamo che gambo e foglie sono simile a quelle del mais (non però la spiga; anche se pure la pannocchia è più propriamente, in termine scientifico, una spiga). Per questa somiglianza con la saggina il mais ereditò da essa il nome di sórgo. Leggendo i documenti storici vicentini, bisogna pertanto stare attenti che quando si parla di sórgo prima del 1600, non si indica il mais ma la saggina. Inoltre, in certe parti, come nel basso vicentino e nel basso veronese, il mais è chiamato anche formentón perché ha sostituito il grano saraceno.

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Oltre che per l’alimentazione il mais serviva a svariati usi, a titolo di curiosità ricordiamo le spate(scartosi) che servivano per riempire i materassi.

L’avvento del mais ha fatto abbandonare progressivamente, oltre che la saggina e il grano saraceno, anche tutti gli altri cereali, dalla segala all’avena, dal miglio alla veccia e alle fave, tutti coltivati in passato soprattutto per l’alimentazione umana.

Ma il mais, facile da coltivare e con buone rese, ha portato anche la pellagra perché, essendo facile avere la pancia piena e saziarsi di polenta, si sono trascurati altri alimenti, e la pellagra, frutto della mancanza dell’assorbimento di vitamine (Gruppo B e in particolare niacina: vitamina PP) , ha colpito le nostre genti fino all’inizio del secolo.

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